Il futuro dei media: l'economia della relazione 🤝
La parola a chi ne sa #4 - Quale futuro per media e creator? Le nuove economie del digitale spiegate da Valerio Bassan
Una newsletter con consigli, link, news per una comunicazione migliore: a lavoro e nella vita di tutti i giorni. Ogni settimana.
Prepara un caffè lungo perché la puntata di questa settimana è ricca di spunti e merita di essere letta con attenzione. No, non mi sto lodando da solo, ma lo dico perché ho avuto la fortuna di poter intervistare Valerio Bassan, l’autore di Ellissi, una delle mie newsletter preferite in assoluto. Con lui, che si occupa di strategie digitali e marketing editoriale, ho voluto parlare delle nuove economie del digital che coinvolgono media, giornalisti e creator.
In che direzione sta andando il mondo dell’informazione? In che modo editori e singoli autori possono rendere economicamente sostenibile il loro lavoro, in un contesto che è mutato radicalmente negli ultimi anni? Quali sono i rischi nell’affidare i propri contenuti a una piattaforma sola?
Ti lascio all’intervista e, come sempre, ricorda che per qualunque dubbio, curiosità o approfondimento puoi scrivermi rispondendo a questa mail.
- Nella tua newsletter hai fatto un confronto molto interessante tra New York Times e Washington Post prendendo in considerazione fattori come subscription, audience globale, strategia di prodotto, tecnologia e distribuzione, marketing. Ecco, alla luce proprio di questi fattori come vedi invece le testate italiane? Sta cambiando qualcosa almeno sotto qualcuno di questi aspetti?
Da qualche anno a questa parte la cultura del prodotto ha iniziato a diffondersi anche nei quotidiani italiani, ed era ora. Buona parte del merito va al proliferare delle subscription digitali, che lo ha reso inevitabile. Oggi i nostri media sono più consapevoli di quale sia il loro mercato di riferimento. Che non è più solo il mercato dell’informazione, né solo quello dell’attenzione, ma soprattutto il mercato “della relazione”: quella con i propri utenti e le proprie community.
La diffusione di questa cultura, tuttavia, non basta per generare un progresso uniforme. C’è chi sta facendo meglio di altri. E ci sono dei problemi diffusi, penso per esempio alla scarsa diffusione di figure trasversali nelle strutture aziendali. Le persone dedicate a ‘prodotto’ e ‘audience’ nelle redazioni sono ancora troppo poche. E quand’anche ci sono, si trovano isolate all’interno di silos, separate rispetto al vero cuore del giornale. Io credo invece che la contaminazione sia quantomai necessaria.
- C’è qualche realtà virtuosa che ti senti di menzionare?
Preferisco non citare realtà con cui lavoro o con cui ho lavorato in passato. Guardando alle altre, tra quelle che stanno facendo un ottimo lavoro ci sono sicuramente Il Fatto Quotidiano, Il Post e Will.
Il Fatto ha messo la propria missione al centro del proprio branding, comunicandola in modo trasversale - ed efficace - su tutti i suoi prodotti. Recentemente ha anche lanciato una propria Fondazione, una mossa in linea con i suoi obiettivi e le idee dei suoi sostenitori.
Il Post ha fatto un ottimo lavoro di comunicazione e posizionamento, fidelizzando una community che già c’era — ma che forse, fino a un paio d’anni fa, faticava a riconoscersi. E con Morning è riuscito a creare un funnel di conversione dove c’era un vuoto: il risultato è stato un caso di studio di cui si parlerà a lungo.
Will Media, pur essendo una media company atipica e relativamente piccola, ha messo in campo una potenza di fuoco notevole. Nel giro di due anni si è fatta un nome per le sue strategie agili e innovative, sperimentando con sottoprodotti ambiziosi (penso alla newsletter Loop) e con formule nuove di coinvolgimento della community (come il tour a tappe di Will Meets).
- Negli ultimi anni podcast e newsletter hanno avuto un boom pazzesco in Italia. Secondo te l’informazione passerà sempre più da questi canali e quindi c’è ancora spazio per chi ha voglia di “buttarsi” oppure è un mercato già saturo?
C’è ancora spazio, secondo me. Non siamo davanti, almeno per ora, a un mercato a rischio saturazione. Calcola che ci sono ancora tantissime persone che non ricevono newsletter ‘editoriali’ nelle loro caselle di posta e che non ascoltano podcast: quindi sì, il margine di crescita c’è, soprattutto verso pubblici nuovi.
In particolare credo che questi prodotti più agili abbiano la possibilità di riavvicinare alle news soprattutto gli ex lettori, gli scettici: nella crisi di credibilità che vive l’informazione, l’idea di avere un rapporto più intimo e disintermediato con una voce - o una firma - rappresenta una buona chance per ricostruire la fiducia, o almeno un pezzetto.
- Da tempo si parla di platform risk. Il caro “vecchio” blog è ancora lo strumento che ti senti di consigliare a chi vuole iniziare un progetto di comunicazione?
È chiaro che se tutti smettessimo di produrre contenuti le piattaforme perderebbero di senso. A cosa servirebbe Google senza siti web da indicizzare? Instagram senza video delle cene con gli amici, bravi fotografi e meme? Substack e Medium senza autrici e autori con qualcosa da dire? Nel momento in cui usiamo queste piattaforme, contribuiamo al loro modello di business. Che poi è il motivo per cui sono gratis.
Il platform risk è una componente inevitabile di questo processo, in cui i creator diventano il prodotto; il rischio c’è, in qualche percentuale, in ogni servizio che utilizziamo gratuitamente. Blog e siti proprietari soffrono meno, poiché ci permettono di tracciare i dati e di monetizzare come preferiamo. Il problema è che, anche avendo un blog, ci troviamo comunque a ‘dovere’ usare le piattaforme per distribuire il nostro contenuto. E quindi ricominciamo sostanzialmente daccapo. Le newsletter gestite attraverso ESP non gratuiti, come Mailchimp, sono forse l’unica alternativa, considerando che comunque il detto “build it and they will come” non vale più per nessun prodotto editoriale.
- Pensi che la crisi dell’editoria prima e i meccanismi alla portata di tutti della creator economy (come le subscription) porteranno a un cambiamento nella professione del giornalista? Non avremo più il classico giornalismo da redazione, ma tanti professionisti che lavorano individualmente ognuno per il proprio pubblico?
No, penso che dopo una fase di unbundling - quella attuale - seguirà un parziale rebundling, in cui si creeranno nuove forme di cooperazione tra i creatori di contenuti. Magari le redazioni cambieranno forma, saranno più liquide e disgregate di un tempo, ma l’unione farà ancora la differenza. Le one-person-newsroom non cancelleranno il bisogno di media company strutturate nel mondo dell’informazione, in grado di investire in progetti a lungo respiro, di supportare l’impegno dei giornalisti, di tutelarli e di valorizzare il lavoro di squadra. Detto questo, credo e spero che quest’onda di creator contribuisca a portare maggiore mentalità imprenditoriale anche nelle istituzioni del giornalismo, soprattutto quelle più paludate. Ne abbiamo davvero bisogno.
- Spazio ai consigli. Oltre alla tua Ellissi, suggeriscici qualche podcast/newsletter/account IG che segui con particolare interesse.
A chi fosse interessato a capire meglio come si evolve il mondo dei media consiglio le newsletter A Media Operator di Jacob Donnelly e The Rebooting di Brian Morrissey. Sul tema del cambiamento climatico assolutamente HEATED di Emily Atkin. Come podcast, invece, qualcosa di completamente diverso: in questo momento sto ascoltando “Man in the Window” del Los Angeles Times, “The Last Archive” di Jill Lepore e “60 Songs that Explain the 90s” di Rob Harvilla per The Ringer.
- Il libro più bello che hai letto ultimamente?
“Quando abbiamo smesso di capire il mondo” di Benjamin Labatut, pubblicato da Adelphi. Un piccolo capolavoro.
💡 I link della settimana
Lavorare - Il futuro del lavoro è freelance? In questo post, Raffaele Gaito fa una serie di riflessioni utili, senza bisogno di dover arrivare per forza alla conclusione se è meglio o peggio essere indipendenti. Quel che è certo è che il mercato del lavoro è sempre più fluido e bisogna dunque essere preparati.
Lavorare #2 - Quali sono le prospettive per le piattaforme a disposizione dei creativi? Gli strumenti ormai sono alla portata di tutti, ma c’è ancora un passo fondamentale da fare: imparare a vendere. Come spiega quest’articolo.
Lavorare #3 - La grande sfida per editori e creator: trasformare i lettori occasionali in abbonati. Come si può fare? Secondo questo rapporto super interessante la chiave è fidelizzare i lettori leggeri piuttosto che investire sempre e solo nell’acquisizione di nuovi utenti.
Dati - Cosa ci dice il rapporto Censis sulla comunicazione 2021? Che la stampa tradizionale è in crisi, che ci informiamo sempre di più online, che le nuove abitudini digitali ce le porteremo anche nel post-pandemia, e diverse altre cose di cui tener conto.
Social - È arrivato il consueto appuntamento con il report di HubSpot sui trend social dell’anno che verrà. Puoi scaricarlo qui e può sicuramente esserti utile per programmare la tua strategia per il 2022.
Leggere - La puntata della newsletter di Valerio Bassan che ho citato nell’intervista, quella dedicata al confronto tra New York Times e Washington Post: la trovi qui. Buona lettura.
🎤 La parola a chi ne sa - Archivio
Periodicamente la newsletter si trasforma dando spazio alle parole di chi si intende di comunicazione. Se te le sei perse o vuoi rileggerle, eccoti i link alle interviste pubblicate finora:
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